giovedì 7 marzo 2013

Pane e pallone 1


Ho vissuto gli anni migliori della mia infanzia e giovinezza a Salerno, a cavallo tra gli anni '70 e '80. Ciò significa che sono cresciuto a "pane e pallone". Allora si giocava un calcio rustico, in strada o nei cortili e persino il torneo di S. Teresa, a noi ragazzini, sembrava un esempio di professionalità, magari solo perché i giocatori delle squadre indossavano lo stesso "completino", con sopra un timido accenno di sponsorizzazione. Ogni quartiere aveva il suo campetto di fortuna e ciascuno organizzava il suo torneo, con tanto di medaglie e coppe, premiazioni e recriminazioni, lacrime di gioia e di profonda disperazione. Io ricordo un campetto in particolare: quello di Via Tanagro, a Mariconda. Oggi non esiste più, al suo posto un parcheggio, ma la sua storia è degna di essere ricordata. Inizialmente il campo era in terra battuta, porte in legno senza reti, grande abbastanza per una "sfidetta" (così si definivano le partite tra ragazzini in gergo maricondese) otto contro otto. Tutto intorno terra incolta e piena di rovi, che minacciavano ogni estate di ridurre drasticamente la superficie del campo. Nelle immediate vicinanze c'era un frutteto, pieno di pesche e pere dolci e succose, la cosiddetta proprietà Ricciardi, magnificamente tenuta dagli ultimi coloni di Salerno, la famiglia Scarpetta. Finita la partita, tutti nel frutteto a farsi una pera, una vera. Poi il terreno del campetto fu venduto e noi tememmo di perdere tutto. Fortuna volle che a fianco del nostro ci fosse un altro terreno e che venisse asfaltato con l'intenzione di farne un parcheggio. Per questo furono anche abbattute due splendide piante di noci; all'epoca avevo una sensibilità ambientalista poco sviluppata e non me ne preoccupai, anche perché quel parcheggio era poco o nulla frequentato e noi ragazzini c'è ne impadronimmo subito. I ragazzi più grandi avevano progetti importanti. Fu organizzata una colletta e comprata della vernice bianca in bombolette per disegnare le linee. Poi, nei cantieri della zona, dove si stavano costruendo centinaia di case (il famoso Q2 Q4) polverizzando ettari di aranceti e orti, "recuperammo" assi di legno e chiodi con i quali costruimmo le porte. A lavoro finito avevamo più di un campetto: avevamo uno stadio! Credo di aver giocato nel mio stadio centinaia di partite. D'estate, senza soluzione di continuità si giocava fino a notte grazie ai due fari per l'illuminazione impiantati per il parcheggio. Pesche e pere rimanevano a portata e non mancava mai materiale umano per una partita. E giocavano davvero tutti. I ragazzini, i più grandi, i genitori. Venivano anche da fuori per giocare e, anzi, qualcuno si affezionò talmente al campo da portarsi a casa le porte, ma questa è un'altra storia.

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