Niente affratella le persone come il ricordo di una trincea, di una battaglia combattuta fianco a fianco. Anche a distanza di anni ci si ritrova a cena insieme rievocando i tempi che furono, rivivendone i momenti più drammatici, ricordando gli amici che non ci sono più. Non parlo della guerra, ma di una partita di calcio, o meglio "di pallone" e più precisamente della prima partita giocata dalla classe IV ginnasio D del liceo Tasso di Salerno, anno del signore 1983, sul campetto di Torre Angellara. Era la prima partita che giocavamo insieme ed eravamo stati invitati da un amico di un nostro compagno di classe, sfidati a giocare contro la squadra di uno dei condomìni della zona. Non avevo mai visto il campetto prima di allora e arrivarci fu di per se una impresa. Faceva abbastanza freddo e aveva piovuto. In questi casi si formava sul campo uno strato di fango che in gergo salernitano si definisce "zanga", simile alle sabbie mobili. Avevo con me le mie fide Tepa Sport, nere, con le strisce bianche ed ero impaziente di provarle. Ci cambiammo ai bordi del campo, all'aperto, ma all'epoca non ci facevamo molto caso: era la regola. Poi distribuimmo i compiti: "tu in difesa, tu in attacco, tu a centrocampo!" E fu tutto. "Loro" erano più grandi di noi, giocavano insieme da tempo e conoscevano bene il campo. C'erano tutti i segni premonitori di una disfatta. In porta con noi il mio amico Tommaso, uno che in porta ci stava per vocazione e che ci stava bene. Insomma, partimmo per la battaglia come gli inglesi a Cambrai, con tanta incoscienza ed entusiasmo, e per un po' la cosa sembrò funzionare. Giusto 5 minuti, poi cominciò l'incubo. Sbucavano da tutte le parti e sembravano inarrestabili. Uno, due, tre gol di svantaggio, ma non c'era tregua. Tommaso faceva miracoli, ma non poteva bastare. Giocavamo con la spensieratezza dei bambini contro una agguerrita squadra di adolescenti. Quattro, cinque, sei, sette. Cominciarono i litigi, le accuse e le recriminazioni. "Marca! Tira! Passa!", ma niente, non riuscivamo a completare un passaggio, figuriamoci un'azione!. Otto, nove, dieci, undici. Una emorragia copiosa, che ci provocò una profonda depressione. Dodici, tredici, quattordici, quindici. A quel punto gli avversari cominciarono a scherzare e questo gli fu fatale! Lo so, a questo punto ci starebbe bene l'epico racconto di una fantastica rimonta...e invece no! Non avete letto il titolo? Quella volta perdemmo e di brutto, ne prendemmo trenta, ma ad un certo punto, un rinvio a casaccio, un liscio imprevisto e uno di noi si trovò solo davanti al portiere e tirò. Un difensore la deviò con la mano e il pallone andò fuori: rigore sacrosanto! Ci presero in giro, sminuirono la cosa e ci guardarono con sufficienza, ma a noi non interessava. Breve conciliabolo e Aldo tirò. Il portiere, che si chiamava Lucio, si piegò a destra, allungandosi e la toccò. Il pallone deviato sbattè sul palo e rientrò in campo, direttamente verso di me. Era un pallone lento e a mezza altezza: perfetto. Feci un paio di passi e lo colpii al volo di destro, con una mezza bicicletta, di esterno, indirizzandolo verso il palo opposto, imparabile. E fu gol. Avevamo la sensazione che fosse il giusto premio per chi non si era arreso, nonostante la goleada. Dopo il gol non ne prendemmo altri, ma non aveva più molta importanza.
Da allora e per un anno intero perdemmo sistematicamente, sempre con minore scarto, poi una domenica un pareggio insperato e da allora non perdemmo più, per tutto l'anno successivo.
Fu allora che chiusero il campetto e costruirono il parcheggio, ma non aveva più importanza: ormai i tempi erano maturi per il campetto di S. Lucia.
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