sabato 27 aprile 2013

S. Lucia

Per alcuni è una Santa a cui essere devoti, per altri un quartiere di Salerno, per altri ancora il titolo di una nota canzone napoletana. Per me? Il campetto della consacrazione. La prima volta che fui invitato a S. Lucia di Cava de' Tirreni avevo sedici anni. Fu un caso. Il fratello di un mio compagno di classe mi chiese se me la sentivo di giocare con gente più grande di me. Risposi di si e andai. Era un gran bel campetto e lo è ancora, sfuggito all'inevitabile destino dei campetti improvvisati, divenuti tutti dei parcheggi. Questo era ben tenuto, con spogliatoi ampi e pulitissimi. La proprietaria è una signora molto cordiale, una contadina con grandi scarpe e cervello fino. Tra il primo e il secondo tempo entrava negli spogliatoi e spazzava il pavimento. Al termine della partita, poi, non ci faceva mai mancare un bel te caldo da sorseggiare insieme. Non pioveva mai a S. Lucia e il campo in terra battuta era sempre in ottime condizioni. Il fondo non era granché, ma era il terreno più regolare sul quale avessi mai giocato e mi ci trovai benissimo. Ancora non lo sapevo, ma, esauritasi l'esperienza del campetto di Torre Angellara, stava per iniziare la mia storia d'amore calcistica più lunga. Da quella volta, infatti, del 1986 e fino al 2003, ho regolarmente giocato sul campo di S. Lucia tutte le domeniche, con le stesse persone, fino a quando l'età e la famiglia (soprattutto dei miei amici) non hanno preso il sopravvento. Più che la partita, però, ricordo la piacevole routine. Che bello alzarsi la domenica mattina, farsi la borsa e via, a casa dei fratelli M. Qui un grande caffè e quattro chiacchiere con la padrona di casa e poi via, tutti a Cava. A partita finita, la certezza che avrei trovato a casa un pranzo regale e vissuto un meritato pomeriggio di ozio, stravaccato sul divano, aspettando 90 minuto. Che meraviglia. Tutto idilliaco, sembrerebbe, eppure la partita che meglio ricordo di quel periodo è una sonora sconfitta. Quando giochi per anni sempre con le stesse persone succede una cosa strana. La partita diventa un rito in cui, inconsapevolmente, ripeti sempre gli stessi gesti. Occupi sempre la stessa posizione in campo, usi il tuo piede preferito e affronti, di regola, sempre lo stesso avversario, che affronti sapendo come si muoverà e come potrai anticiparlo. L'ideale per sgranchirai le gambe e non farsi male. Il problema sorge quando l'avversario cambia. A S. Lucia giocavano sempre gli stessi, appunto, ma un bel giorno a qualcuno venne in mente di invitare "sangue fresco". Uno degli abituali frequentatori, infatti, decise di farci sfidare una squadra diversa ritenendo, parole sue, che fossimo individualmente più forti dei nostri avversari. Avrebbe dovuto essere un piacevole diversivo, si trasformò, invece, in un incubo e perdemmo sonoramente. Sembravamo dei compassati signorotti di mezza età e non dei pimpanti trentenni. I difetti di ciascuno di noi si ingigantivano a dismisura, le nostre qualità svanivano. Giocando al centro della difesa i miei limiti risultarono evidenti. Sono lento, mi faccio superare spesso dai lanci lunghi e, quando l'azione riparte, tendo a lanciare lungo a mia volta, in modo prevedibile e irritante, soprattutto per i miei compagni. Di norma, invece, con i soliti attori e comparse di S. Lucia, ero il classico difensore che gioca molto sull'anticipo, preciso ed elegante, con qualche licenza di troppo e un lancio lungo sbagliato ogni tre. Tentammo di reagire, ma senza grandi risultati. Alla fine, negli spogliatoi avevamo tutti il muso lungo e l'orgoglio ferito. Quindi, come ninja incazzati, promettemmo sul nostro onore che avremmo chiesto la rivincita e ristabilito i veri valori, a qualunque costo. Questo ci rinfrancò e tornammo a sorridere generosamente, gliel'avremmo fatta vedere a quelli li, aspettate, godete della vostra sicumera ora che potete, perché grande sarà la punizione per la vostra "ubris". La giornata tornò a colorarsi di rosa e l'incidente fu archiviato.
La domenica successiva non c'era traccia degli indiavolati, nessuno li aveva invitati, nessuno sollevò obiezioni, nessuno fece domande: come si rimarginano presto le ferite al l'orgoglio...

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