È sera. Sto tornando da Roma diretto a Monfalcone. Il treno è in ritardo e sono sicuro che perderò la coincidenza. A casa tanti dubbi e nessuna certezza. È la prima volta in tanto tempo che non torno a cuor leggero al mio rifugio, ma dove andare altrimenti? Poi domani c'è un appuntamento importante a Trieste e dopodomani una causa, a Gorizia. Quindi non c'è scelta e anche se l'avessi tornerei comunque: le voglio ancora un mondo di bene, nonostante i suoi dubbi. Arrivo a Mestre in ritardo, come previsto. La coincidenza è già partita o forse no, comunque il prossimo treno è alle dieci e per Trieste sono saltate parecchie corse. Il bar chiude alle dieci meno un quarto e potrei aspettare dentro, al caldo, ma preferisco stare fuori, dopo aver trangugiato uno schifosissimo mc chitchen. Volevo un big mac, ma mi è venuta male l'ordinazione. Maledetto vizio del telefonino. Mentre ordinavo contemporaneamente ho chiamato Enzo per sapere come andava la partita della Juve, in coppa, in casa col Real, e mi sono confuso. La stazione è ancora animata. Una paio di avvinazzati in un angolo fingono un match di pugilato. Uno strano tipo apostrofa la sua ragazza intimandole di chiedere scusa prima di iniziare qualunque discussione, lei si offende e si allontana lasciandolo di sasso. Un gruppo di disgraziati aspetta pazientemente che due volontari distribuiscano loro qualcosa da mangiare. Sento uno dei due dire ad alta voce:"chi vuole qualcosa deve mettersi in fila!". Una tristezza infinita mi prende. Un paio di coppiette si incontrano e si salutano con affetto. Meno male, va un po' meglio. Il tempo scorre abbastanza veloce e arriva l'intercity per Trieste. Ho pagato per un "freccia bianca" e viaggio su un carro bestiame, ma fa niente, potrei anche non avere biglietto. Nessuno lo controlla in questi casi e mi sembra così...democratico da parte loro. Credo che sia questo l'aspetto umano che distingue ancora le vecchie FFSS dai bei bambolotti di Italo. Salgo sul treno e mi sistemo in uno scompartimento, sperando di rimanere da solo. Perché poi? Non sarebbe meglio avere compagnia? Da solo, senza internet, drogato e dipendente dalla rete quale sono, finirei col giocare compulsivamente a bubble fino allo sfinimento e magari potrei anche maledire Trenitalia perché non ci sono prese dove ricaricare l'ipad. Mentre tutto questo mi passa per la mente in un microsecondo, più o meno consapevolmente, nello scompartimento entrano una mamma e suo figlio. È un figlio speciale, lo si vede subito. È un bel ragazzino di quattordici o forse quindici anni, occhi vispi e tanta voglia di raccontare quello che ha dentro. La madre sistema il bagaglio pesante e rifiuta cortesemente la mia offerta di aiuto. Si vede che è abituata a far da se, con il suo figlio speciale, e mi sembra più preoccupata di impedire al figlio di disturbarmi: certi esseri umani, si sa, mal sopportano la presenza di ragazzi che non rientrano nei "normali canoni". Ma io sono diverso, sono diventato anche io speciale e come Superman dichiaro alla signora i miei superpoteri: sono un insegnante di sostegno e di diritto. Ma sono anche qualcosa di più, sono uno a cui piace essere un insegnante di sostegno. Il ragazzo si chiama A. e vive a Trieste. Scopriamo subito di avere delle amicizie in comune e persino di aver partecipato ad un paio di belle manifestazioni, di quelle con tanta gente, che durano tutta la giornata. A. è un musicista e ora che ci penso io l'ho sentito suonare ed è bravissimo. Cominciamo a parlare di musica. Ha gusti un po' datati per la verità: niente Fedez, ma Mina, Battisti, Battiato e come eroe preferito...Adriano Celentano! È anche esperto di musica classica. La mamma si rilassa ed è contenta che si faccia conversazione. Mi dice che sono stati a Roma per il ponte e che hanno fatto un bel giro, che hanno visto un sacco di monumenti. Dico ad A. che la prossima volta che verranno a Roma dovranno chiamarmi, così potrò fargli vedere il senato da dentro, altrimenti a cos'altro serve un assistente parlamentare? A. sembra contento e continua a parlarmi di quello che lo appassiona: la PAN, le Frecce Tricolori. Ha visto la pattuglia esibirsi un sacco di volte ed ogni volta si è emozionato, ha persino gli occhiali con la fettuccia della Pan. Parliamo di aerei ed elicotteri e scopro che ha una bella cultura in materia. La madre mi guarda perplessa e mi chiede se sono un militare. Rispondo di no, sono solo un appassionato. A. adesso è inarrestabile, ride e canta e parla senza sosta, sembra ansioso di raccontarmi tutto prima che io scenda e manca poco. Vuole saggiare la mia competenza in fatto di cartoni animati. Mi fa il nome di un cartone, io non lo conosco, ma lui non sembra preoccuparsi. Ci pensa un po' su senza distogliere lo sguardo e poi mi fa: Goku? Dragonball!! Certo che lo conosco! La mamma ci guarda come se fossimo senza speranza, mentre la conversazione tra me e A. prosegue per lei misteriosa e fitta. E Vegeta? E Junior? Che battaglie! Ormai siamo grandi amici, ma arriva la mia fermata e devo scendere. Ci salutiamo e ci diamo appuntamento alla prossima festa. Prima di uscire dallo scompartimento A. mi guarda e mi dice: "Mi ricordo di te alla festa", ma forse non è vero, forse è solo un regalo per me. Sono arrivato a casa a mezzanotte, ci ho messo due ore ad addormentarmi...
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