Per Nicolas Cage i suoi film sono come figli, tutti ugualmente importanti, tutti belli. Per Sofia Loren tutti i figli devono avere lo stesso cognome: Soriano. Per quanto mi riguarda tutti i goal che ho segnato hanno lo stesso valore, sono tutti belli, tutti importanti. Per questo li coccolo nella mia memoria, li ripasso, li rivedo, li accarezzo quasi. Sono tutti belli, anche se per motivi diversi: quello segnato con i Falquus perché fu il primo fuori dal condominio, quello al volo il primo giorno a Torre Angellara perché stabilì un principio e quello ugualmente spettacolare, sempre a Torre, perché suggellò la fine di una rincorsa di due anni. Bello il goal a S. Domenico perché ne scartai cinque prima di segnare e belli quelli del torneo di Giovi, di testa e in rovesciata (non voluta, ma è un'altra storia). Bello il goal di S. Croce, in mezza rovesciata, al volo, all'ultimo minuto e bello quello al torneo universitario, d'astuzia, su punizione, ma senza "chiedere la distanza" della barriera. Bellissimo il goal di S. Lucia, di sinistro con finta decisa in un microsecondo, con palla in alto a sinistra e portiere in basso a destra. Non ne ho segnati molti, anzi, ho preferito sempre l'assist, ma non per generosità: per paura di sbagliare. Quindi posso ricordarli meglio e li metto tutti sullo stesso piano. Però, c'è un però. Lo so che non vale, lo so che un genitore non dovrebbe farlo, ma c'è n'è uno a cui voglio più bene. Uno piccolino, insignificante e lontano, ma è il mio preferito. Avevamo fatto sega a scuola (sciopero, filone, fate voi) ed eravamo andati a casa di Fabio, un amico che non c'è più. Sotto casa di Fabio c'era e c'è ancora un campetto di pallavolo in cemento, ma senza la rete. Agli estremi del campetto due panchine. Quindi, per noi maniaci del pallone, quello divenne un perfetto campetto per sfide "due contro due", senza portiere e con le panchine a far da porta. Inutile specificare che segnare in una porta di un metro di larghezza per cinquanta centimetri di altezza era complicato, se ci fosse stato anche il portiere sarebbe stato quasi impossibile. Le "squadre" erano due: due ragazzini di dodici anni o giù di lì da una parte, Aldo (altro mio compagno di liceo) e io, poco più che quindicenni, dall'altra. I nostri avversari erano un po' intimiditi. Eravamo più grandi di età e avevamo qualche centimetro di più, in altezza. Tuttavia quello che li impressionava maggiormente era la "tecnica superiore" che io è il mio compagno ostentavamo. Sia come sia i giochetti col pallone possono essere belli a vedersi, ma se non segni sono inutili e l'avversario si sente incoraggiato e ci prova a sua volta. Infatti, il risultato rimaneva inchiodato sullo zero a zero perché ogni volta che ci avvicinavamo alla loro porta uno dei due si metteva davanti alla panchina, rendendo vano ogni tentativo di segnare. Ad un tratto Aldo si intestardì in un dribbling e si ritrovò da solo, con alle spalle la ringhiera e davanti entrambi gli avversari. Io, invece, ero da solo, ma davanti alla loro porta. Risultato: se Aldo avesse perso palla, come era probabile, quei piccoli bastardelli avrebbero potuto segnare indisturbati: una vera tragedia. E mentre già mi vedevo perso, vidi Aldo colpire la palla con un leggero, ma deciso, "colpo sotto". La palla si impennò in un fazzoletto e superò entrambi gli avversari, giungendo a me con buona forza. Non ebbi tempo di stoppare. Potevo fare solo una cosa: portai i pugni al petto e caricai il collo all'indietro. Poi ruotai il torso di scatto e colpii di testa, verso il basso. La palla si infilò precisa sotto la panchina, ma con tale forza che continuò a rimbalzare impazzita su e giù per qualche secondo. Goal. Ero sorpreso, ma feci la faccia di quello che queste cose le fa normalmente. Aldo abbozzò guardandomi come se avessi fatto la cosa più naturale del mondo. I nostri avversari rimasero interdetti. Presero il pallone (un Super Santos d'ordinanza) e provarono a ricominciare, ma si vedeva che erano assai abbattuti. Dopo un po' smisero di giocare e se ne andarono con la coda tra le gambe.
Un goal degno di un cartone animato giapponese, capace di stroncare il morale della squadra avversaria. Il mio bambino preferito, senza dubbio.
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